Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali il controllo dei movimenti e dell'equilibrio. La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala consistentemente, a causa della degenerazione di neuroni in aree profonde del cervello.
Quando pensiamo al Parkinson siamo portati ad immaginare una persona che presenta un tipico tremore a riposo, spesso a carico della mano, ma anche del piede o della mandibola. In realtà questo sintomo non è sempre presente. Spesso si manifesta all’esordio con la rigidità del corpo, che non viene chiaramente avvertita. Si instaurano poi una progressiva lentezza dei movimenti e la difficoltà ad iniziarli spontaneamente, l’alterazione dell’equilibrio, del cammino, della postura, della motricità fine. Compaiono difficoltà di deglutizione ed eccessiva produzione di saliva. Molto disturbanti sono anche i sintomi non motori, in primis la depressione, l’apatia, l’ansia.
Il quadro si complica quando si instaura il decadimento cognitivo. Infatti, le persone con morbo di Parkinson hanno un rischio di sviluppare la demenza di 2-3 volte superiore rispetto a quello di soggetti normali di pari età. Il 65% dei pazienti con morbo di Parkinson che raggiunge gli 85 anni presenta demenza.
In questo caso, caratteristicamente sono colpite le funzioni frontali, con conseguenti difficoltà a pianificare le azioni e disturbi dell’umore. Emergono rallentamento nella produzione verbale, disturbo dell’attenzione, delle abilità visuo-spaziali, deterioramento della capacità critica di giudizio e astrazione. Meno intaccata è la memoria episodica, rispetto ad altri quadri dementigeni. Possono comparire anche allucinazioni.
Assistere una persona affetta da Parkinson è molto pesante sia sul piano fisico che psicologico. Le difficoltà motorie interferiscono con la maggior parte delle attività della vita quotidiana, come lavarsi, vestirsi, camminare, passare da una posizione all'altra (per esempio da seduti ad in piedi), girarsi nel letto. Si evidenziano difficoltà nei movimenti di manualità fine, con conseguente ricaduta ad esempio sulla grafia. Via via aumenta il rischio di cadute.
Sicuramente il caregiver, soprattutto se trattasi di un familiare, è messo a dura prova dai sintomi depressivi della persona colpita, dalla sua indifferenza emotiva, dal suo stato ansioso. La mancanza di sonno può mettere fortemente in crisi il convivente. Spesso queste persone tendono a sopravvalutare le proprie residue capacità e sembrano sfidare i pericoli, generando una costante preoccupazione e frustrazione, perché non sembrano capire e assecondare le raccomandazioni di chi li assiste. Il decadimento cognitivo, quando presente, ovviamente complica ulteriormente l’assistenza di queste persone.
Dal momento che i livelli di stress per i caregivers sono molti alti, è fondamentale che si prendano cura di sé stessi. Solo se le energie mentali e fisiche sono preservate potranno continuare ad essere dei bravi curanti. E’ importante vivere e non solo sopravvivere, evitando di essere eccessivamente critici verso il proprio operato, riconoscersi tutti gli sforzi fatti e l’impegno profuso, ritagliarsi del tempo per sé chiedendo aiuto ad altri, svolgere delle attività piacevoli, coltivare le proprie amicizie, curare l’alimentazione e praticare l’attività fisica. Non ultimo, è opportuno frequentare gruppi di auto-mutuo aiuto per familiari, al fine di rompere l’isolamento, trovare comprensione e sostegno da chi sta affrontando le stesse difficoltà.
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